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domenica 14 febbraio 2016

Verso il cielo di bronzo

Una delle mie più grandi curiosità sul modello geocentrico e l'antica cosmologia terrestre è senz'altro quella riguardante il così detto firmamento, o 'vòlta celeste'; per questo motivo ho voluto leggere dapprima il capitolo quarto dell'opera fondamentale di Gabrielle Henriet Heaven and Earth, scaricata all' URL http://www.theflatearthsociety.org/library/books/Heaven%20and%20Earth%20(Gabrielle%20Henriet).pdf, a titolo "On the solid dome of the sky", di cui offro al lettore di VerOrizzonte la seguente traduzione (mia); resta inteso che durante la prossima lettura di tale opera mi riservo di pubblicare in questo stesso blog la traduzione di ogni altra parte che riterrò altrettanto interessante e degna dell'attenzione del mio lettore, sapendo che purtroppo non esistono traduzioni complete disponibili nella nostra lingua -- perlomeno, non in versione digitale.



CAPITOLO QUARTO - SULLA CUPOLA SOLIDA DEL CIELO

Dall'alba dei tempi si è sempre creduto e detto che i cieli non sono uno spazio vuoto, ma una superficie solida. I Caldei e gli Egizi consideravano il cielo come una copertura massiccia del mondo; in India e in Persia si pensava che fosse un coperchio metallico, piatto o convesso, o finanche piramidale. Fino al XVII Sec. la terra fu sempre considerata come il centro di una sfera vuota con mura solide; per questo motivo, fu sempre rappresentata con una copertura. Questo indispensabile complemento, tuttavia, fu eliminato con l'avvento della teoria della gravitazione, per convenienza, poichè una cupola solida che limitasse lo spazio attorno alla Terra avrebbe reso impossibile lo stravagante moto dei pianeti che furono posti a orbitare nell'aria a distanze fenomenali. Quindi da quel momento il fatto universalmente accettato per migliaia di anni che il cielo fosse una superficie ferma scomparve del tutto*. 
Nondimeno, la possibile esistenza di una vòlta solida sopra la Terra è una questione di grande importanza in virtù delle tremende conseguenze che deriverebbero da questo fatto, se si rivelasse come reale. Non vi è dubbio che la reazione generale è quella dell'incredulità; ma, d'altro canto, va considerato che non è senza ragione che gli antichi credessero nell'esistenza di una vòlta materiale di cielo; nè privo di ragione, tantomeno, il fatto che questa nozione dovette essere continuamente trasmessa traverso le epoche dalle origini fino al XVII Secolo, in tutte le parti del mondo. L'unica alternativa sarebbe d'essere in grado di provare il fatto, ma sembra che al momento presente non ci sia modo di farlo. Si potrebbe scoprire, comunque, che una vòlta solida esista effettivamente sopra le nostre teste, in modo indiretto e affatto inatteso, che l'erronea interpretazione data della composizione dei pianeti non ha fin ora permesso di fare. Possiamo affermare a questo punto, anticipando il prossimo capitolo che tratta questo soggetto particolare, che i pianeti non sono masse solide e opache di materia, come si crede. Essi sono semplicemente dischi immateriali, luminosi e trasparenti; e in virtù di queste circostanze, è chiaro che i crateri, le asperità, i monti e le vallate che si pensavano esistere sulle superfici di queste masse immaginarie, sono le caratteristiche topografiche della solida vòlta del cielo le quali sono illuminate e proiettate in rilievo dai dischi luminosi e trasparenti che chiamiamo pianeti. Dev'essere anche compreso che la lente del telescopio crea un'apparenza di convessità la quale, sporgendosi in rilievo, rende l'impressione di una massa sferica, ma questo effetto di convessità è una mera illusione ottica.

*) Va comunque notato che la nozione della natura massiccia del cielo permane nel linguaggio. Il termine firmamento significa superficie ferma e la parola francese "ciel" è derivata  da coelum che significa materiale cesellato [1]

La cupola celeste è visibile non soltanto attraverso il disco del satellite terrestre con l'aiuto di un telescopio, ma anche ad occhio nudo, in rare circostanze, questo è vero ad es. quando essa è illuminata dai lampi della folgore durante le notti di tempesta. 
Con una notevole fortuna in simili condizioni, l'autore ha veduta la vòlta dei cieli intieramente illuminata, ed è stato in grado di osservarla distintamente per diversi minuti, a cagione di una successione rapida di scariche stratificate che permisero una visibilità perfetta e continuata. Un commento dev'esser fatto a questo punto, che se gli antichi ritenevano che il cielo fosse una massa solida, era perchè essi accertarono tale fatto nelle medesime circostanze, così come molti osservatori saranno in grado di fare in futuro.
Pertanto, possiamo prevedere la possibilità di prendere fotografie notturne di vaste aree della vòlta celeste, particolarmente in quelle zone del mondo ove a causa della frequenze delle tempeste siano numerose le opportunità di farlo.
L'aspetto della vòlta era quello di una cupola alquanto ripida, spiovente, di forma piramidale, ed essa appariva esser composta di un materiale metallico grigio scuro, che mostrava uniformemente piccole disparità irregolari simili al piombo che è stato battuto o cesellato.
I dettagli più grandi, particolarmente i crateri, erano chiaramente visibili sullo sfondo; ma la qualità ancora più impressionante era la incredibile vicinanza della vòlta, il cui punto più alto pareva essere, al limite, a non più di sessanta chilometri dalla terra. Si può ricordare a questo proposito che in uno dei testi di Omero si afferma che la altezza della vòlta che circonda la terra è soltanto il doppio di quella del monte Olimpo, approssimatamente sei chilometri. Questa stima, evidentemente impossibile, la quale sarà probabilmente derivata dall'eccezionale purezza dell'atmosfera in Grecia che deve trarre in inganno, rende nondimeno un'idea del modo in cui ci si può figurare la questione della distanza della vòlta celeste dalla terra.
Ne consegue pertanto, dalla spiegazione precedente, che l'esistenza di una cupola materiale che circonda la terra non può esser negata; e questo fatto rivoluziona completamente la concezione dell'epoca moderna sul mondo esteriore. La terra non è liberamente sospesa nello spazio, ma giace sul fondo di una cavità le cui mura la circondano da ogni lato. La vastità siderale non si estende più per distanze illimitate e indeterminate. Le dimensioni del nostro universo sono ora note per essere ristrette, ed esse sono limitate dalle mura che circondano la terra.
E' da questo ostacolo che le onde radar sono riflesse; e possiamo anche ricordare, a tale riguardo, la teoria di Heaviside che conduce all'esistenza di uno strato atmosferico superiore resistente alle onde [https://en.wikipedia.org/wiki/Kennelly%E2%80%93Heaviside_layer, ndt] il quale non è altro che la solida vòlta del cielo. Non esiste assolutamente alcun corpo solido tra la terra e la vòlta celeste, da che le costellazioni, come i pianeti, non sono altro che fenomeni luminosi.
I meteroriti sono ovviamente frammenti che si distaccano dalla vòlta e raggiungono la terra. Queste masse quando analizzate si scoprono comprendere alte percentuali di metallo, da cui si può concludere che la brillantezza connaturata del cielo è dovuta alla presenza di metalli nella sua composizione. Il fatto è che la terra, all'inizio dei tempi, dev'essere stata necessariamente separata dalla massa adiacente che costituisce oggi la vòlta celeste; e, pertanto, le parti divise devono contenere i medesimi elementi. Tutti i metalli e i minerali della terra sono di conseguenza presenti nella superficie del cielo. 
Un'associazione è di fatto presente tra i metalli e il cielo, da che quest'ultimo è istintivamente comparato al piombo e al bronzo nei Paesi molto caldi dove le temperature cocenti intensificano la sua azione metallica e lo rendono più percepibile. [nel nostro Paese permane il modo di dire "cielo plumbeo" riferito ai giorni più grigi e tenebrosi, ndt]
Nella letteratura classica esistono due riferimenti specifici alla natura metallica del cielo, oltre quella della cosmologia Egizia, ma la prima potrebbe non essere indipendente dalla seconda. Il primo, leggiamo nei poemi di Omero [2] che l'Olimpo cosparso di stelle, abitazione degli dèi, è formato di bronzo splendente; il secondo, nell'Antico Testamento, il profeta Giobbe offre quella che si può ritenere una definizione esatta del cielo quando afferma che sia uno specchio di metallo. Va notato, a questo proposito, che quando il riferimento poetico riguarda lo specchio argenteo della Luna, è la superficie metallica della vòlta che appare sotto il disco trasparente il quale, di fatto, si può descrivere come uno specchio d'argento. Va inoltre notato che nella mitologia Orientale l'attributo della dèa solare è lo specchio sacro. Questa è un'altra associazione con la vera natura della vòlta; e bisogna ammettere che quest'ultima, specialmente quando brilla e scintilla sotto il sole, somiglia indubbiamente ad uno specchio. E' stata osservata frequentemente una somiglianza tra il vetro e il sole. Nel VI Sec. a.C. Empedocle riteneva il sole essere un corpo vitreo che collezionava e rifletteva la luce dell'etere, ma non aveva un proprio potere luminoso. L'astronomo Inglese Palmer, il secolo scorso, riteneva che il sole fosse una lente la quale, aggiunse inoltre, trasmette a noi i raggi emanati dall'Onnipotente. E' inoltre noto che Tolomeo, nel suo sistema della costituzione universale, parla dell'esistenza di un cielo cristallino, ovvero della natura di una sostanza minerale trasparente. Si potrebbe pensare, a tale riguardo, che non sia impossibile che a cagione del calore sviluppato dal passaggio del disco solare, può esserci stata una fusione e una vetrificazione dei materiali silicei contenuti nella vòlta, sì che in alcuni punti essa è ricoperta da uno strato vetroso, il quale comunica con il disco solare per trasparenza, proprietà identica, che lo può render simile ad una lente. La presenza di scorie simili a quelle che si formano sui metalli fusi è altresì osservabile sulla superficie solare, il quale è di fatto, a cagione della sua trasparenza, il fondamento del cielo, e ciò sembra confermare la possibilità di reazioni chimiche e termiche che avvengono tra gli elementi i quali compongono la vòlta. Si può comprendere ora che la luce e il calore i quali sembrano essere prodotti dal sole non procedono da questa fonte, ma son dovuti all'effetto del vetro bruciante il quale è generato dalla superficie metallica della vòlta sotto il disco luminoso. In tali condizioni, tutte le proprietà benefiche e vivificanti che sono attribuite al Sole devono esser trasferite alla cupola solida del cielo, così come i raggi. Essi non sono raggi del sole, ma raggi della superficie metallica della vòlta.
E' altresì ovvio che le scariche elettriche che producono i fulmini hanno luogo tra le masse della terra e quella della cupola celeste. Si può inoltre evincere che parti della vòlta si espandono, si fendono o esplodono per la tensione del passaggio di correnti elettriche intense e della loro scarica; da qui le brevi detonazioni chiamate tuoni, le quali sono poi amplificate in potenti boati, che riverberano nell'interno della vasta caverna contenente la terra. Si può inoltre notare che i boati o tuoni sono sempre immediatamente seguiti da una risonanza metallica simile a quella del bronzo o dell'ottone; e si può dire che questo particolare clamore, il quale è chiaramente percepibile, è certamente prodotto dalle mura metalliche dalla vòlta che sono fatte per scuotersi e vibrare sotto lo sforzo delle detonazioni.
Gli antichi dicevano che la pioggia è parte delle acque che esistono dall'altra parte della vòlta, le quali passano da questo lato attraverso fenditure. Dev'esser notato, a tale proposito, come la pioggia è sempre scaricata al termine del tuono, ovvero, dopo che il suono della spaccatura della vòlta, è stato udito; e questo fatto sembra supportare la teoria degli antichi che riguarda l'ariete (?sic)
Il fulmine è un fenomeno che risulta dall'elettrificazione della vòlta; ma bisogna considerare che le ramificazioni osservate in quelli che si definiscono fulmini biforcuti non sono affatto fulmini, strettamente parlando; nè essi attraversano l'atmosfera come si crede. Essi corrispondono alle correnti elettriche luminose che viaggiano nella vòlta celeste stessa, ove seguono percorsi irregolari, probabilmente venature metalliche; ed è inoltre possibile vedere come essi adottino la forma convessa della vòlta. Queste correnti contribuiscono infine all'accumulo in certi punti della quantità di elettricità che è necessaria a produrre la scarica verso la terra, la quale avviene poi in una linea diretta. Le comete, i meteoriti e le stelle cadenti sono fenomeni la cui origine, come quella dei fulmini biforcuti, è la massa della vòlta. L'autore conosce per certo tale origine. Le comete sono manifestazioni luminose spontanee le quali sono create dalle reazioni elettriche nella vòlta celeste, e questo spiega la loro inattesa e improvvisa apparizione, così come i loro moti rapidi ed erratici, indifferentemente diretti o retrogradi. Il passaggio di una cometa non è accompagnato da suoni, cioè a dirsi non vi è scarica elettrica come nel caso dei fulmini che producono spaccature e detonazioni. Se ne può evincere che i fulmini hanno luogo nello spessore della vòlta, mentre le comete sono fenomeni superficiali. L'orbita delle comete che si osservano attraversare le vaste distese celesti è descritta come parabolica. Questo significa, di fatto, da che il passaggio ha lugo sulla superficie della cupola, che l'orbita segue esattamente la curvatura della stessa e acquisisce, pertanto, una traettoria apparentemente parabolica.
La formazione delle comete sembra esser dovuta all'influenza dei dischi satellitari della terra quando passano in certi punti della vòlta celeste; altrimenti, quando essi occupano certi gradi dello zodiaco, particolarmente il 20mo grado del Sagittario. Nel caso della cometa di Encke del 21 Dicembre 1795, il sole era al 29mo grado in Sagittario. Nel caso della cometa di Brook dell'11 Novembre 1911, il passaggio di Mercurio era allo stesso grado, e ancora per la cometa di Donati, il 2 Ottobre 1858 era Marte ad interessarne il passaggio nel medesimo punto. Lo stesso si può dire inoltre del terzo grado dei vari segni, in part. dei Gemelli. Nell'ultimo caso menzionato, della cometa di Donati, Urano era al terzo grado dei Gemelli. Per la cometa di Halley, che ritornò il 4 Marzo 1910, Mercurio era allo stesso grado; Venere al secondo grado della Bilancia; Marte al secondo grado del Cancro; mentre Saturno passava simultaneamente al 29mo grado dell'Ariete, etc.
Tutte queste circostanze, che non possono esser coincidenze, puntano evidentemente all'esistenza di una legge matematica la quale governa la formazione delle comete, attraverso l'azione combinata dei satelliti quando passano simultaneamente a vari gradi dello zodiaco: e dal momento che i satelliti hanno un moto regolare, ne consegue che la ciclicità periodica delle comete, se di fatto esiste, può derivare da questi fattori.
Le stelle cadenti non devono esser confuse con le stelle comunemente intese come tali, che formano le costellazioni e si muovono molto lentamente.
Esse sono manifestazioni luminose che scorrono rapidamente sulla superficie della vòlta dei cieli, senza alcuna scarica elettrica verso terra.
Esse sono, quindi, assimilabili a fulmini della vòlta, specialmente quando si possono udire emettere suoni crepitanti come scintille.
Le meteore sono pure fenomeni luminosi che risultano dalle reazioni elettriche che si verificano nella vòlta celeste. Si è osservato come esse siano frequentemente accompagnate da detonazioni e da un suono simile a quello del tuono, il quale è, pertanto, causato da una fenditura nella cupola, e non ci possono quindi esser dubbi sulla loro vera origine. Si è calcolato che l'altezza delle meteore non è mai superiore a 90 Kilometri, e questa stima conferma la probabile distanza della vòlta dei cieli dalla superficie terrestre.
Dagli antichi sappiamo che i cieli all'inizio dei tempi erano adiacenti alla terra, il che è coerente con la collocazione primordiale della massa circostante; e che essa fu progressivamente sollevata nel corso dei tempi. Questo innalzamento della vòlta non può esser stato tanto grande. Il solo fatto che quest'ultima sia visibile attraverso un telescopio sotto i dischi dei satelliti terrestri, così come dall'occhio nudo, come si è detto prima, indica che non dev'essere molto distante. Neppure è vero, che l'occhio umano può coprire una distanza infinita, nemmeno con l'aiuto dei più potenti strumenti, tenendo a mente nel contempo un possibile effetto di ingrandimento dovuto alle differenti densità dei vari strati atmosferici, sì che dev'essere accettato il fatto che la cupola celeste è incredibilmente bassa. Se fosse ad una distanza enorme, i meteoriti si disintegrerebbero e sarebbero polverizzati, e la pioggia si volatilizzerebbe prima di raggiungere il suolo. 
Non esiste, e non esisterà mai, un metodo assolutamente affidabile con il quale la distanza che separa la superficie della terra dal cielo possa essere accertata. E' alquanto dubbio, di fatto, se le leggi della fisica applicate alla condizioni terrestri sarebbero ugualmente valide nel contesto dell' atmosfera superiore e degli spazi adiacenti alla sommità della cupola, ma alcuni dati vanno tenuti in considerazione.
L'altezza dello strato di Heaviside, che è la cupola celeste, è stata misurata dal tempo necessario alle onde radar per tornare sulla terra. Questa distanza si è stimata essere tra i 40 e i 50 kilometri durante il  giorno, e di 90 kilometri durante la notte; ma la stima ottenuta per il giorno si può considerare inaffidabile, da che si può ben credere che un'accellerazione abbia luogo nella propagazione delle onde a causa del calore del sole.
E' noto, d'altro canto, che lo spessore dell'atmosfera è stato misurato. Ma l'atmosfera è invisibile, e dal momento che la cupola è la sola superficie su cui si possa posare l'occhio, è chiaro che lo spessore dell'atmosfera equivale all'altezza della cupola.
Nell'XI Secolo gli Arabi, misurando la durata del tramonto, stabilirono che questo spessore è di 92 kilometri; e al giorno d'oggi, con lo stesso metodo, una stima di 64 kilometri è stata ottenuta. Una simile indicazione proviene da Ceylon, i cui abitanti dichiarano che laggiù la cupola è particolarmente bassa, essendo a soli 40 km. d'altezza, ovvero a 60 kilometri dalla terra; e non è necessariamente conseguente, che tale affermazione sia basata su una mera convinzione o no, che essa sia falsa. Questa stima è pure in accordo con l'impressione dell'autore che ha veduta e osservata la cupola dei cieli durante un periodo di tempo sufficientemente lungo per consentirgli di giudicare la sua probabile distanza, per quanto umanamente possibile; e la conclusione è che la distanza che separa la superficie della terra dal cielo, e che può variare in certi luoghi, non è superiore agli 80 o 90 kilometri.
Il primo telescopio usato da Galileo, che era di sua propria costruzione, aveva  una potenza di soli tre ingrandimenti. Nondimeno, egli potè con questo piccolo strumento vedere l'eminenza della vòlta, che egli descrisse come le montagne della luna; cioè a dirsi, che invece di 80 o 90 kilometri, 50 o 60 è più prossimo al bersaglio. La vòlta dei cieli può non essere assolutamente rigida, ma potrebbe ad intervalli recedere ed avanzare, così che in tali condizioni i cambiamenti della pressione atmosferica risulterebbero ovviamente dalle variazioni dell'altezza della vòlta.
Il colore azzurro dell'atmosfera può esser dovuto alla presenza sulla superficie del cielo di certi metalli o delle loro leghe, che producono una materia di colorazione blu, come l'ossido di bronzo o il cobalto. Quest'ultimo metallo in particolare, che è utilizzato per produrre il vetro di colore blu, è presente in grandi quantità nei meteoriti, e il suo colore può esser diffuso dal sole negli strati atmosferici, anche se essi non raggiungono completamente la sommità della cupola, da che quest'ultima può proiettare un riflesso a distanza.
Si può inoltre inferire che la tinta rossastra del disco trasparente di Marte sia dovuta al fatto che la parte della cupola che soggiace alla sua orbita contenga ossido di ferro, il quale produce un composto di tale colore.



1] merita una nota a questo proposito l'etimologia riportata dal Pianigiani (etimo.it):




2] Troviamo almeno due ricorrenze nell'Odissea in versione Italiana, nella traduzione online di Ippolito Pindemonte, Libro Decimoquinto, pag. 73, 405/410:

"..i Proci, la cui folle oltracotanza

Sale del ciel sino alla ferrea volta."

e nella versione poetica di Giovanni Sciamarelli, Libro Terzo, pag. 39:

"Salì in alto il sole, lasciando il mare bellissimo, verso il cielo di bronzo"

Nella nota della Edizione Oxford University Press a tale riguardo si legge:
"Non è chiaro cosa intenda con "cielo di ferro";  Omero chiama il cielo "bronzo" nell'Iliade  (Libro 3, 17)
Forse egli intende che il cielo è una cupola di metallo sopra la terra, di bronzo nell'età eroica (il mondo dell'Iliade) e di ferro per l'età del ferro (il mondo dell'Odissea).

Ovviamente questo contrasta con quanto letto prima; comunque nell'edizione Marsilio dell'Iliade si legge il seguente passo:

"..ferreo fragore giungeva fino al cielo di bronzo."

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